Matilde

1) Da sola

È dura d’agosto a Milano, amici e amiche quasi tutti via lontano, chi sulle spiagge, chi sui monti, chi all’estero. Ma non mi dispiace essere da sola, al massimo è per una settimana, avevo bisogno di un piccolo periodo di raccoglimento.

Quello stronzo di Franco!

Ci siamo mandati a cagare a vicenda, ma la merda è lui. Non gli ho mai chiesto niente, in quattro mesi. Grande affiatamento quando facevamo l’amore, nessuna promessa reciproca di rapporto duraturo, solo simpatia, complicità e sesso. Chissà, avrei potuto anche innamorarmene, in fin dei conti intelligente lo è, con le donne ci sa fare e con me particolarmente. E poi è simpatico. Ma è uno stronzo, come tutti gli uomini, mi viene da dire. Leggero, vanitoso, dongiovanni. Quale maturità, ma che dico, quale dignità può avere uno che d’improvviso si mette a sbavare per una troia come la Debra e pretende che io faccia finta di niente?

E questo mentre cenavamo in riva al mare a lume di candela, io mi ero fatta già prendere dall’atmosfera e sognavo già una notte di passione con il mio uomo. È passata quella lì e ci ha salutati. Lui immediatamente si è messo a fare lo stupido.

– Cosa fai qui, Debra? Non mi puoi dire che non hai trovato compagnia questa sera…

– Guarda, sono venuta via dal ristorante Al Porto, c’erano Luigi e Anna, poi c’era quell’insopportabile di Giovanni, e piuttosto che stare con loro ho trovato una scusa.

Debra era vestita da killer, con canottierina/top bianca, pancia liscia di fuori con ombelico adorno di pietrina, pantaloni ancora bianchi attillati alla marinara (magari non più tanto di moda, ma su di lei uno schianto), scarpe nere Gucci con tacco alto. Alta più di me, cioè abbastanza, elegante, sexy, una sventola di capelli lunghi e scuri, un seno piccolo ma perfetto, a giudicare dalle forme nascoste dal top. Ma erano gli occhi così neri, così vivi che mi agitavano. Ogni tanto assestava uno sguardo su Franco e quello non aveva neppure il pudore di nascondere il deliquio in cui stava cadendo!

Ho sopportato la cena a tre, ho visto come si sono salutati, perché lei voleva andare in discoteca, io invece volevo andare in albergo, a litigare con Franco. E così è successo, senza tante urla ma con molta rabbia. Alle tre di notte lui se ne è uscito, chiudendo la porta più forte del necessario. Io ho pianto un poco, ancora per rabbia, poi mi sono addormentata.

Il mattino dopo ho fatto il mio valigino, ho pagato il conto per umiliarlo almeno un po’, e con il primo treno sono tornata a Milano, a casa. Il viaggio non è stato lungo, sono arrivata tra mezzogiorno e l’una. Ho fatto un po’ di cose, ho sistemato il bucato, ho messo un po’ d’ordine in una casa abbandonata in fretta, ho letto svogliatamente qualche capitolo di un libro. Non avevo appetito, ho assaggiato solo un po’ di formaggio con i crackers, poi sono andata a dormire, senza provare a telefonare a nessuno.

Ma non riuscivo a trovare pace, continuavo a vedere Franco che si precipitava in discoteca, riagganciava la troia e poi se la portava a letto da qualche parte. M’infastidisce a tal punto che non riesco a prendere sonno, mi costringe a guardare un po’ di televisione tanto per distrarmi. Poi finalmente, verso l’una, mi sono assopita, con la TV accesa.

Nel sonno agitato rivedo Franco, Debra e me in un turbine di situazioni diverse e confuse, sorrisi ammiccanti, frasi poco chiare, anche da parte mia. Una cosa è evidente: la bellezza e la forza seduttiva di Debra, non riesco ad allontanarla dalla mia mente, neanche al mattino alle undici, quando mi alzo e vado diritta in bagno, sperando nel sollievo di un’immersione totale nella schiuma profumata di una vasca di acqua calda.

Ci sto un’ora, decisa a rilassarmi il più possibile, un buon bagno ha sempre virtù magiche. E infatti quasi m’addormento di nuovo, così; emerge solo la testa, i miei capelli biondi per un po’ galleggiano sulla superficie dell’acqua.

Quando mi alzo, risciacquata con la doccia, sono decisamente un’altra, mi sento diversa, ho lasciato dietro di me l’incazzatura: e sono pronta a spendermi in altre situazioni ed altre avventure.

Lo vedo che sono bella, giovane. Sui maschi ho un potere naturale, non posso certo lamentarmi. Di Franchi ne trovo quanti ne voglio, quindi su con la vita. Mi asciugo davanti allo specchio, indosso un accappatoio, poi mi passo i capelli con il fon. Sono bella così, naturale, senza trucco: e ora che non sto a dolermi per quel coglione di Franco, sento d’essere innamorata di me stessa, mi piaccio. Mi tolgo l’accappatoio e mi riguardo, nello specchio intero del mio bagno. Matilde, sei proprio carina, mi dico. Ho un’aria proprio sbarazzina, con questi capelli non lunghissimi, ma ognuno per conto suo. Mi ispeziono il corpo, muovo le dita dei piedi, vedo i nervi che le agitano, le unghie dipinte di rosso, pronte ad indossare una delle mie tante paia di scarpe. Sono matta per le scarpe, ne ho tante davvero, mi piace cambiarle anche più volte al giorno, perché ho dei bei piedi e me li coltivo come fiori, con mille attenzioni. Calzo un paio di scarpe a tacco altissimo, quelle che metto più che altro quando sono da sola e voglio sedurmi.

Mi soffermo sulle gambe, che ho lunghe per quella che è la mia statura (1,70), abbronzate. Mi volto per guardarmi il culo, vedere che sia sempre al suo posto, sotto la schiena, ma ben alto sulle cosce. Dopo i piedi, d’importante c’è il culo, fiero, nobile, autoportante. Poi mi rigiro e mi guardo il ventre, mi sembra di avere un capolavoro di pancia. Gli uomini adorano la mia pancia, tutti quelli con cui ho avuto a che fare erano capaci di guardarmi la pancia senza dire niente per minuti interi. Liscia, ben incastonata tra due ossa del bacino che la custodiscono come uno scrigno di favolose promesse.

Anche oggi sono soddisfatta della mia pancia, ieri sera ho mangiato poco e niente, stamane come prima cosa sono andata di corpo ed ora penso alla mia pancia pulita di fuori e di dentro, d’amore e d’accordo con il buchetto del mio culo, un amore rosa che non riesco a vedermi allo specchio ma che immagino.

Il culmine dell’ammirazione e del compiacimento però lo raggiungo contemplandomi il seno. Non ho tette grandi, taglia seconda, ma sono perfette e ricordano quelle di Debra, che non ho visto bene ma che, da quel che s’indovinava, dovevano essere come le mie, sode, erette, orgogliose dell’inutilità del reggiseno, con due bei capezzoli piccoli ma pronti ad indurirsi.

Indosso una canottierina nera e trasparente, a spalline sottili.

Guardare le mie tette allo specchio ed innamorarmene è spesso un tutt’uno. Me li accarezzo con le mani, come fossero altrui, con lo stesso esitante rispetto. Un brivido mi corre per la schiena, mi sorvola la zona anale e mi si ferma in forma di languore alla fine della pancia. È bastata una carezza sulle tette per farmi sentire donna nel profondo, per farmi realizzare che non uscirò da questo bagno senza aver goduto almeno una volta. Perché c’è voluto poco ad eccitarmi, mi è bastata una carezzina e il pensiero di Debra.

Ma perché lei?

Masturbarmi mi è sempre piaciuto. Lo faccio da sola, me lo faccio fare, lo trovo parte essenziale del sesso e della vita. Agli uomini piace vedere una donna che si masturba, anche se non mi sono mai data un perché. Lo faccio con le dita, lo faccio con il mio dildo, come viene. Meglio se c’è il mio uomo che mi guarda, entrambi ci eccitiamo ancora di più. Ma Debra cosa c’entra? Non ricordo di aver mai avuto fantasie erotiche di questo tipo, ma questa volta mi sembra che lei abbia avuto la sua bella responsabilità nel ridurmi in questo stato di agitazione.

Lentamente, strisciandola sulla pancia come a spingere in basso tutto il languore, scendo con la mano sulla figa, che vedo bene allo specchio, ora che ho allargato un po’ le gambe. Pettino con le dita la peluria, così da vedere meglio la fessura rosa e il bottoncino del piacere. Poi, d’improvviso, mi sorprendo a pensare che Debra sia inginocchiata davanti a me e che abbia preso a leccarmi la figa con decisione. Allora non mi trattengo più e mi sfioro ripetutamente con la punta dell’indice il clitoride.

È così che voglio godere, pensare che Debra mi lecchi ed io che mi accarezzo. Nessuna penetrazione, una cosetta tra sole donne, che un po’ si odiano.

Ma questo orgasmo che sta per arrivare ha bisogno di maggior comodità: non posso stare in piedi a farmi, devo correre sul mio letto, sdraiarmi, chiudere gli occhi, aprirli con l’immaginazione su Debra che ha la testa tra le mie gambe, divaricate oscenamente, e mi lecca e mi dice cose sporche, del tipo:

– Non ti aspettavi di essere come una lesbica, vero? Ci volevo io per farti capire cosa ti può mandare in paradiso. Toccati, troia, fammi vedere come godi, mentre io ti lecco, ti guardo e ti parlo. Fa quel che ti dico io, godi e basta.

– Leccami, Debra, fammi venire… è vero, fare l’amore con te è stupendo, mi piace che mi odi così, mi piace farti vedere che godo, mi fai sentire una troia lesbica… dai, così, così, succhiami la figa, amore. Guarda come mi sgrilletto per te. È meraviglioso, stupendo, godo, godo, aah, aah, sborro Debra, ti sborro in faccia!

2) La telefonata inattesa

Sono ancora intontita per ciò che ho appena fatto, mi godo l’essere sdraiata sul mio letto, mi coccolo il peccato di cui mi sono appena “macchiata”, quello di fare l’amore con una donna nella mia fantasia, di essermi procurata piacere con una valenza “lesbica”.

Nella quiete dopo l’orgasmo trovo ragioni nuove d’interesse in un sesso inesplorato e mi domando se mi capiterà ancora, se lo vorrò ancora. Dentro di me so che la risposta è sì, ma non sono disposta a crederlo fino in fondo. Fare l’amore con un uomo vuol dire sesso in genere mai fine a se stesso, ma con tutta una serie di implicazioni affettive, che vanno dall’amore semplice all’odio nascosto o manifesto, dalla gelosia alla sottomissione, dalla vendetta all’esibizionismo, dalla ripicca ai più svariati equilibri di potere. Il più spesso si rifanno naturalmente al rapporto biologico uomo-donna, per perfetto o imperfetto che sia.

Ma per noi donne fare l’amore con un’altra donna che sesso è? Ci può essere amore tra donna e donna? Difficile crederlo, per me, ora che sono reduce da una sconvolgente fantasia erotica con una donna che mi ha appena umiliata.

Ma se, d’altra parte, si può fare amore con un uomo disprezzandolo (e questo mi è successo talvolta), allora farlo con una donna può essere una competizione, magari non detta o non avvertita come tale. Ti faccio vedere io chi è più troia, chi gode di più, chi ci sa fare di più: e tutto, forse, in relazione ad un uomo, reale o immaginario, che sta sullo sfondo per entrambe. Probabilmente le lesbiche vere si amano, ma io non credo proprio di amare Debra, anzi credo di detestarla.

Mi alzo e, ancora nuda, mi reco in cucina; apro il frigo senza un’idea precisa, poi scelgo di servirmi un po’ di succo d’arancia. Ho sete, bevo il mio bicchiere di gusto, ma non faccio a tempo a finirlo che squilla il mio cellulare, dimenticato acceso nella borsetta dal giorno prima.

– Chi sarà mai?

Non ho voglia di rispondere.

Gli squilli s’interrompono dopo un po’, io ho finito di bere. Ma ecco che suona il telefono di casa. Allora è qualcuno che mi segue proprio… Rispondo.

– Ciao, Matilde, sono Debra…

Resto muta di sorpresa, impietrita.

– Pronto, ci sei? Sei Matilde?

– Sì, sono io – riesco a rispondere – ciao, Debra. Chi ti ha dato il mio numero?

– Me lo ha dato Franco. Lui è rimasto ad Alassio, io dovevo tornare a Milano e ho pensato di chiamarti. Ti disturbo?

– No, affatto. È solo che mi hai beccato di sorpresa…

– Mah, sai, l’altra sera ti ho vista delusa, incazzata, probabilmente a ragione, con me. Questo però davvero mi dispiace e ho pensato che forse avevamo qualcosa da dirci, anche per non lasciare cose in sospeso. Tu cosa fai oggi?

– Guarda, io sono a casa e sto mettendo a posto un po’ di roba. Non ho programmi precisi, se vuoi venire a trovarmi mi fai piacere. Non credere che ce l’abbia con te più di tanto, Franco non era così importante. E poi qualche volta anch’io mi sono comportata come te…

– In che senso?

– Nel senso che qualche volta anch’io me ne sono fregata e ho portato via l’uomo a qualcuna.

– Beh, io volevo e non volevo. Non sapevo come sarebbe andata a finire. Dove abiti? Posso venire subito?

Le do l’indirizzo e chiudiamo la conversazione cinguettando come vecchie amiche. Ma che mi succede? Sto per avere un incontro reale con una persona con la quale pochi minuti fa godevo, cosa sta succedendo? E in realtà non vedo l’ora che arrivi, anche se sento una vaga debolezza di gambe.

Sono curiosa, sì. Quella frase «non sapevo come sarebbe andata a finire» lasciava aperto qualunque quesito malsano. In definitiva voglio sapere se hanno fatto sesso assieme, forse voglio prendere le misure alla mia antagonista per meglio scoprire le nuove frontiere che mi si sono aperte questa mattina.

Per prima cosa devo mettermi qualcosa addosso. Vado in bagno, mi acconcio sul bidè, mi lavo: e mentre lo faccio ecco arrivare ancora quella frustata di languore ormai ben noto. Sì, lo ammetto, mi sto preparando per lei. No, non lo ammetto, mi sto solo lavando la figa dopo le mie masturbazioni. Sì, lo ammetto: mi lavo per lei. No, è per igiene personale.

L’acqua fredda, lungi dall’allontanare il languore dal basso ventre, fa piacere e va ad aggiungersi al piacere. Ora però basta, mi asciugo con la salvietta e vado in camera. Apro il cassetto della biancheria intima, sono incerta su che scegliere. Ma è pazzesco! Di solito prendo quello che capita, invece ora mi sorprendo a pensare cosa potrebbe piacerle di più…

Mi ribello e indosso un paio di slip azzurri, cui sono particolarmente affezionata. Il reggiseno non lo porto, quindi passo alla gonna. Siamo in piena estate, fa caldo, una mini di jeans andrà benissimo. Infine una normale camicetta bianca a bottoni, da infilare nella gonna (basta con queste pance fuori), ma appena sbottonata nella parte superiore. Anche per le scarpe, massima semplicità: da tennis, bianche, ovviamente senza calze. Mi guardo allo specchio, Debra dovrebbe essere qui tra poco. Mi sembra di essere una scolaretta, tutto meno che bomba del sesso, tanto meno con tendenze particolari.

Ma poi, lei che vorrà? Che pensieri mi vado facendo? A Debra magari non passa neppure per la testa un coinvolgimento con me, quindi cosa mi agito a fare? Non credo che avrò la forza di farle capire nulla, né di raccontarle cosa è mi successo questa mattina, quindi, cara Matilde, sta calmina e lascia che le cose vadano come devono andare. E con questa promessa a me stessa, mi dedico a sistemare quelle due o tre cose del mio trilocale che non erano a posto, che facevano disordine. Do anche una sprimacciata al divano; poi vado in cucina a tagliare il melone e ad aprire due buste di prosciutto crudo. Il vino bianco e la birra erano già in fresco.

3) L’incontro

Il citofono suona verso le due, come d’accordo.

– Sono Debra. A che piano?

– Ciao Debra, sali al quarto.

Mi sento pronta, tra poco la rivedrò a tu per tu. Forse riesco a trovarle qualcosa addosso di antipatico, per ridurre l’immagine che mi sono fatta. Ma so anche che è bella e fascinosa, in questa giornata d’agosto che è del tutto speciale.

Quando le apro la porta mi trovo davanti qualcosa di davvero diverso da quello che mi ero immaginata al mattino, o da quello che avevo visto due sere fa. Ho davanti una ragazza normale, bella, appariscente, soprattutto per la cascata di capelli scuri, ma senza più aria da donna fatale. Se non fosse per le scarpe, a tacco alto e di resina trasparente.

Mi sorride e m’accorgo di quanto il suo sorriso sia luminoso, la faccio sedere e la osservo mentre accavalla le gambe, coperte da un pantalone bianco appena attillato. In basso risaltano i piedi, generosamente in vista sotto la resina. Un collo del piede nobile, alto, porta a cinque dita piccole e affusolate.

– Ti va un prosecco che ho in fresco?

Alla sua risposta affermativa la lascio da sola a guardarsi in giro, poi torno dalla cucina con un vassoio e due bicchieri di vino bianco frizzante. Mi siedo anch’io e cominciamo a chiacchierare.

– Sai – mi dice guardandomi diritta negli occhi – la prima cosa che volevo chiederti è se tu di Franco sei innamorata o se…

– Non posso dire di esserne innamorata. Lui non mi ha fatto scattare quell’emozione che invece ho provato per altri. Però ho passato con lui qualche mese divertente, senza pensieri. Perché Franco è pieno di attenzioni.

– Questo è vero, è attento ad ogni piccola cosa…

– Però ogni qual volta scavi anche per poco, sotto la scorza c’è poco. O forse lui non permette che si vada in profondità. Ma perché mi chiedi se ne sono innamorata?

– Perché quando ti ho vista con lui l’altra sera e ho deciso di autoinvitarmi al vostro tavolo, pur non sapendo bene perché lo facevo, ho sentito che in qualche modo dovevo «inserirmi».

– Ah, per quello ci sei riuscita benissimo! – esclamo sorridendo, senza dare l’aria di esserne contrariata – Lo sai che dopo avermi riaccompagnata in albergo abbiamo litigato per te e lui se ne è andato?

– Certo che lo so, l’ho rivisto nell’unica discoteca decente. Lui è venuto apposta per cercarmi. Saranno state le due, io avevo uno o due cascamorti che mi ronzavano attorno, con uno avevo anche bevuto qualcosa. Ma non riuscivo ad interessarmi a niente, la musica mi dava un po’ fastidio, continuavo a pensare a voi.

– E allora lui è arrivato, immagino che t’abbia vista subito. E cosa ti ha detto?

– Ha detto che era venuto per me, che mi aveva ancora negli occhi da quando mi aveva salutato, che aveva anche litigato con te.

– Brutto bastardo, ti avrà detto anche che sono una stronza…

– Beh, non così chiaramente; ma io ho preso subito le tue difese… poi abbiamo bevuto un gin-tonic, abbiamo ballato due o tre pezzi, quando si sono messi a fare una musica decente. Certo che Franco si muove bene…

– La discoteca non è l’unico posto dove si muove bene. Tu, ci hai fatto sesso, dopo? – chiedo con una punta di ansietà.

– Sì, verso le quattro siamo usciti, un po’ bevuti. Lui mi teneva sottobraccio e siamo andati al mio albergo. Non ci sono volute molte parole, siamo saliti e dopo poco eravamo già a rotolarci sul mio letto. Ti dispiace molto?

– No, non mi dispiace, e poi lo immaginavo.

– Non è stata una grande scopata, lui è andato subito al sodo, forse eravamo un po’ stanchi. Mentre stavo lì con lui ero sicura che in realtà non era lui quello che volevo. Poi ci siamo addormentati e al mattino dopo, quando mi sono svegliata per prima, ho capito: di Franco non mi interessava assolutamente niente.

A quelle parole, trasalgo. Possibile che quello che sento, che ho appena sentito, abbia il significato che spero? Possibile che lei mi voglia dire, in modo obliquo, quello che anch’io vorrei dirle? Non sto interpretando a modo mio, fraintendendo? Perché Franco dev’essere ancora tra noi?

– Poi si è svegliato anche lui, ci siamo alzati, siamo scesi in strada a comprare la focaccia. Mi ha offerto un bicchiere di vino bianco… Erano solo le undici, ma a suo dire non si può mangiare la focaccia senza un bicchiere di vino bianco.

Mi sono lasciata convincere facilmente, poi ho cominciato a sentire un languore dove sai bene anche tu; allora ho deciso che forse era bene dargli un’altra possibilità. Così gli ho fatto capire che mi sarebbe piaciuto, siamo risaliti in camera e questa volta le cose sono andate molto meglio.

Mi sono spogliata davanti a lui, l’ho trascinato sul letto con me e ho cominciato a baciarlo; lui mi rispondeva, dicendomi quanto ero bella e quanto avesse voglia di fare l’amore con me. Era dolce e deciso, io praticamente mi offrivo senza più alcuna remora né pudore.

– Ma cosa hai fatto di preciso?

– Gli ho messo la figa in faccia, ecco cosa ho fatto, e gli ho chiesto di leccarmela. Lui è stato meraviglioso, io sono venuta quasi subito; poi ad un certo punto mi sono come congelata per un momento…

– Perché?

– Perché mi sono accorta che non era lui a leccarmi…

– Come non era lui…

– Sì, era lui. Però… io pensavo fossi tu, volevo fossi tu.

– E perché ti sei congelata? – continuo io, volutamente senza dare, in apparenza, importanza a questa rivelazione pazzesca, ma in realtà impietrita.

– Beh, congelata no, anzi. È stato solo un momento, per la sorpresa. Non avevo mai avuto di queste fantasie. Nella testa ero gelata, per il resto mi scioglievo. Poi, quando lui ha deciso di prendermi, mi sono data con tutta me stessa, ma continuavo ad immaginare che tu fossi presente, che tu ci guardassi, che tu attendessi il tuo turno per farti prendere da noi due.

Mentre Debra dice queste cose non ha il coraggio di guardarmi più in faccia. Si vede che è venuta qui per liberarsi, per sapere la mia opinione, conoscere la mia reazione. Disinibita lo è, non è così terribile dire certe cose, basta aprirsi. Ma se è venuta fin qui per affrontarmi, è perché non può fare a meno di me, adesso lo so.

Le offro prosciutto e melone, mangiamo di gusto, ormai come vecchie amiche. Sono contenta che sia qui, perché la sento complice.

Per il momento il discorso non torna più sull’amore e sulle fantasie. Parliamo per conoscerci meglio, per capire da dove viene l’altra, cosa potremmo avere in comune oltre ad un uomo e al sesso tra di noi forse futuro.

Me ne guardo bene dal confessare a mia volta le mie fantasie mattutine: lei mi ha fatto un torto, o crede, quindi io voglio conservare il mio punto di vantaggio. Però a metà pomeriggio le mie curiosità, piano piano, si rivolgono all’intimo, comincio a porle domande che potrebbero essere imbarazzanti, se la situazione non fosse stata spianata in precedenza dalle sue ammissioni.

Mi è simpatica, non sembra raccontare bugie, non vuole farsi più bella di quello che è. È semplice, genuina. Probabilmente segue solo il suo cuore, un po’ come me: e questa mattina il cuore le ha suggerito di fare questo passo.

– Tu ti masturbi? – le chiedo con innocenza, ma un po’ a bruciapelo, come a chiedere se le piace il caffè. Una domanda che seguiva decine di altre curiosità su di lei, come a che età avesse avuto il primo uomo o se si era mai innamorata seriamente, cui lei aveva risposto con precisione ma senza scendere mai nei particolari.

– Sì, molto – è la risposta decisa, quasi liberatoria, come se anche lei avvertisse che il discorso ha raggiunto un punto dal quale non si può tornare indietro – moltissimo, in ogni modo. E mi piace anche che mi guardino, ma questo non sempre è possibile. Con Franco, per esempio, non lo sarebbe.

– Lo faresti anche davanti a me? – incalzo io d’impulso, con voce appena un po’ soffocata.

Mi guarda con quegli occhi neri che ti frugano dentro, senza dare possibilità a nessuno di resistere.

– Se me lo chiedi è perché sai che lo farei. Ho capito dal primo momento che ti ho vista che tra noi non sarebbe stata un’amicizia normale. Ti ho desiderata fin da subito, non so perché e non me lo domando per paura che la magia di questa sensazione svanisca. È per te che mi sono seduta al tavolo, è per te che ho fatto l’amore con Franco. Volevo rivederti a tutti i costi, non sapevo come fare per avvicinarti, per scoprirti.

Come tecnica di seduzione è un po’ strana, mi dico. Certo, ci vuole decisione. Se voleva riuscire a comunicare il suo interesse per me, rubarmi l’uomo per poi dirmi che non era per lui, la trovo abbastanza ardita. Ma non è una vera domanda quella che mi sfiora appena, perché ora mi va di risponderle con segni inequivocabili.

Mi tolgo le scarpe, mi siedo sul divano accanto a lei e mi avvicino al suo volto, un po’ accoccolata. Il profumo attorno a lei è lieve, ma quasi mi stordisce. La bacio su una guancia, quasi a voler più che altro sentire la sua fragranza, ma poi lei mi porge la bocca e allora ci baciamo, senza esitare, come farebbero un uomo ed una donna.

Baciare una donna come Debra è speciale, e infatti mi sembra di baciare me stessa, o meglio un’altra me stessa. È un bacio lungo, dolce, affettuoso ma anche lascivo, pieno di promesse e di complicità. Lo so cosa vuoi da me, perché sono donna come te, non ci sono e non ci possono essere sotterfugi o cose fraintese. Non ti do smancerie e romanticismo quando vuoi sesso e il sesso te lo do solo con carezze e dolcezze. Ti capisco, ti leggo negli occhi. Forse siamo due viziose? Così depravate da esserci stufate dell’insipienza dei maschi? E anche se qualcuno potrebbe non tollerare le nostre tendenze, a noi che importa? Ci amiamo alla nostra maniera, e il desiderio che ho provato e provo per lei non l’ho mai provato così forte per nessun uomo.

Forse era lei l’anello mancante alla felicità, m’illudo. E intanto sento la sua pelle, le sue mani che mi accarezzano e mi frugano sotto la camicetta, sentono il seno mio tanto simile al suo, con i capezzoli duri, eccitati da morire. Faremo l’amore, Debra, questo è certo e lo faremo fino in fondo, sarà vero amore con te.

Ti dirò ogni cosa e lo farò tra poco, e allora berrai le mie parole con gioia: perché anch’io so dare gioia.

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